domenica 11 settembre 2016

Ho visto Pink Flamingos... e mi è piaciuto!

Ho visto "Pink Flamingos", meglio conosciuto come "Fenicotteri Rosa" in Italia. Se non avete mai sentito prima il titolo dovete sapere che questa pellicola viene considerata, per dirla all'inglese, "The Mother of trash movies". John Waters nel 1972 è riuscito a creare un prodotto così affascinante e offensivo da essere ricordato per anni se non come uno dei peggiori film della storia, sicuramente il più trash!

Protagonista della pellicola è Divine, una drag queen divenuta celebre grazie a questo film e, in seguito, come cantante di musica disco tra gli anni '70 e '80. Personaggio da sempre esagerato e controverso, ha inaugurato il modello di drag "alla Platinette": mentre tutte le drag occidentali puntavano ad essere "miss qualcosa" il suo obbiettivo era di essere "la Godzilla delle drag queen". Divenne così celebre che la stessa Disney si ispirò a lei per creare il personaggio di Ursula, l'acerrima nemica di Ariel ne "la Sirenetta". Esagerata in ogni sua manifestazione, si trovò completamente a suo agio ad impersonare Babs in "Pink Flamingos", "the filthiest woman alive" (la donna più marcia al mondo). Nel film, in seguito alla troppa fama, si rifugia a vivere in una roulotte rosa shocking nella periferia di Phoenix insieme alla madre con uno strano fetish per le uova, la compagna di avventure Cotton e a Crackers, figlio hippie e con una passione per i polli (sì, in quel senso). A metterle i bastoni tra le ruote saranno i coniugi Marble, una coppia spietata che ambisce al titolo di re del marcio: rapiscono giovani donne, il loro servo transessuale le mette incinte e vendono i bambini a coppie di lesbiche. In poche parole, quello che Adinolfi e la Meloni si aspettano che accada con l'approvazione del matrimonio egualitario! 

(nel prossimo trafiletto SPOILER ma il finale non è così importante)


La trama consiste in una serie di vendette, una più assurda dell'altra, finché Divine non arriverà a risolvere la vicenda eliminando la coppia di fronte a una stampa estasiata. La pellicola si chiude con la scena che rese famosa Divine al livello internazionale: per coronare il so trionfo come "filthiest woman alive" mangia, di fronte alla telecamera, un escremento di cane appena depositato sul marciapiede. Come in seguito chiarito, non si trattava di una sua perversione né provò alcun tipo di gioia nel compiere quel gesto, "semplicemente era scritto sul copione". Tuttavia questo gesto la portò sulla bocca di tutti e creò un vero scandalo: forse nessuno ha mai più fatto qualcosa di così genuinamente scioccante di fronte alla cinepresa!


Fatto sta che Pink Flamingos, piaccia o meno, fa maledettamente bene il suo lavoro: scioccare e disgustare. John Waters, il regista, non è uno sciocco ed era ben conscio del valore della sua pellicola che, ci tengo a precisarlo, risale addirittura al 1972. Divine diventa così un'icona hippie, punk con 10 anni anni di anticipo. Come testimonia una sua intervista del 2010, Pasolini fu un punto di riferimento per lui e "Salò", del 1975, non fa che confermare questo tipo di intesa. Intesa che si sviluppa sul triplice asse De Sade-Pasolini-Waters. Tutti e tre hanno un obbiettivo (gli ultimi due in particolare nelle pellicole di cui parliamo oggi): portare il male dell'umanità a galla. Che sia tra le pagine di un libro o sul grande schermo, che ci piaccia o meno, questi tre autori portano lo stesso messaggio in tre modi diversi: narrazione, tragedia e commedia, l'uno complementare rispetto all'altro. Mentre guardavo la pellicola mi è capitato più volte di pensare "Cavolo, ma questo è De Sade" traendo le mie conclusioni non solo da quello che vedevo ma anche da quel che sentivo.


A questa lettura andrebbe aggiunta quella punk di rottura col passato, di capovolgimento di regole e valori. Già la drag queen è ribaltamento dell'ordine comune, Divine riesce a "ribaltare il ribaltamento" con il suo modo di fare e la forza trasgressiva che la contraddistingue. Divine non fa "schifo", vuole "far schifo". Che ci piaccia o meno il movimento hippie è stato il primo filone di rottura con la tradizione classica del dopoguerra, una delle prime opposizioni concrete al sistema che partono fin dagli anni '50. Sicuramente la comunità LGBTI deve a Divine una certa visibilità, sebbene non sia stata un faro nella lotta dei diritti. Oggi Harris Glenn Milsted, in arte Divine appunto, è morto ma la comunità ha già una sua permanenza stabile nella società da diversi anni. E questo, nel bene e nel male, grazie anche a lei. 

Il film è, ad oggi, inedito in Italia ma non all'estero. Tuttavia online s trova abbastanza facilmente una versione sottotitolata in italiano con tanto di contenuti extra (il commento di Waters a molte scene). Alla fine Pink Flamingos mi è piaciuto. Non è di certo un film da primo appuntamento, però lo trovo brillante e geniale in quel che vuole fare: schifo. 

sabato 3 settembre 2016

Da dove viene la satira?

Noi siamo figli della storia come tutta la cultura che ci circonda, compresa la risata. Recentemente si è molto parlato di satira, diritto alla satira, onnipotenza della satira, centralità della satira. Ma la satira cos'è? Dove finisce la satira e inizia il buon gusto? Non posso rispondere a tutto insieme ma iniziamo a vedere insieme, ovviamente per sommi capi, dove nasce la satira.



La satira NON nasce nel mondo latino. O almeno, non la satira come la intendiamo noi oggi. "Satura tota nostra est" scriveva Quintiliano in un noto passo, citando Lucilio come il fondatore di quest'arte di cui Orazio fu il suo più celebre successore. Il termine "Satura" fa riferimento a "Satura Lanx", un vassoio pieno di primizie da offrire agli dei. Ma già nell'altissimo Medioevo, come attesta Isidoro di Siviglia, non si era certi di questo significato. Il concetto base era, comunque, un insieme di cose, di argomenti diversi, di elementi dispari mischiati assieme. Ma di certo non la presa in giro spietata che, come vedremo tra poco, nasce nel 1700.

Facciamo un passo in avanti al Medioevo che concepiva una risata completamente diversa: il Carnevale. La cultura popolare che dilagava nei così detti "secoli bui" era diffusa tra tutte le classi sociali, dallo sporco popolano all'altrettanto sporco ma più decorato nobile. Una comunione di risata e di spirito che investiva tutta una comunità più volte l'anno in periodi diversi e prolungati. Una beffa continua, comune, in cui tutti ridevano di tutti, in netta contrapposizione alla normalità, alla rigidità della quotidianità. Il mondo alla rovescia colpiva tutti gli ambienti, anche quelli ecclesiastici con fenomeni come il "risus paschalis" e varie parodie di messe e celebrazioni liturgiche in chiave buffonesca. Insomma, il punto fondamentale è la comunione di risata, l'indifferenziazione sociale continua e duratura per determinati periodi in contrapposizione al mondo normale. Senonché, col passare degli anni, questo inizia a prendere nettamente posizione sopra il Carnevale schiacciandolo e riducendolo sempre più. Il nobile, presto seguito dal borghese, si stacca dal mondo popolare e si astrae socialmente su un piano più elevato, diverso, di netta superiorità morale e materiale.



Il 1700 è il secolo in cui questa tendenza, per motivi storico-sociali, si solidifica sempre più fino a fossilizzarsi. Il Carnevale perde il senso e nasce, quindi, una nuova forma di comicità: la satira, appunto. Questa è indirizzata, come oggi, verso i potenti, i regnanti, i nobili. A produrla non sarà il ceto basso ma medio alto che si avvale di una cultura superiore. Tuttavia le immagini, così grottesche e ridicole, erano di facile comprensione anche per il popolano, che quindi partecipava come spettatore al riso. Una risata, quindi, che va dal basso verso l'alto, unidirezionale, e non comune. Non vi è autoironia ma solo un bersaglio da colpire il più forte possibile. La satira nasce qui.

Col tempo questa forma di presa in giro si è solidificata ed allargata, accostandosi anche ad altri generi di ampio raggio, che coprono più persone contemporaneamente a più livelli. Si è passati a prendere in giro intere culture, non senza una certa supponenza intellettualoide alle spalle, religioni e popoli. Per questo sentir parlare di satira legata a Charlie Hebdo mi fa storcere il naso: nelle vignette vedo sempre più un mirino puntato sui più invece che sui diretti responsabili. La caricatura di un imprenditore che
mangia una lasagna fatta di cadaveri e cemento è satira. Raffigurare italiani stereotipati coperti dal sangue no, secondo me. È solo pessimo gusto. Perché dando per scontato (cosa che comunque non è nella nostra società) il diritto di espressione, sopraggiunge poi il diritto alla critica. La stessa presa in giro nei suoi termini, modi ed espressioni può essere criticata o, a sua volta, presa in giro. Ma che la satira debba essere universale e sempre garantita per definizione è una convinzione frutto più di frase fatte che di una seria preparazione sui limiti della parola e della sua forza.


Il mio invito è proprio questo, anche per il futuro. Siate critici. Non limitatevi alla mera constatazione di un fatto (Charlie Hebdo è libero di pubblicare quello che vuole) ma abbiate il coraggio di criticarlo (che non vuol dire per forza in negativo, può anche essere in positivo) argomentando, che a vedere la realtà siamo capaci tutti. Grazie.