sabato 22 febbraio 2014

Comunicazione di servizio (1): i fattacci mie e altro!

Questo è un post a sorpresa per tutti voi (e per me). Come potete vedere i caratteri sono diversi e probabilmente anche la grandezza non sarà la solita. Questo perché sto improvvisando il testo (quindi scusate se ci saranno ripetizioni o errori di battitura, non rileggo il testo) e non lo scrivo prima su World per poi copia-incollarlo. Ma dunque, che vi devo dire? Allora, come sapete, più o meno gli articoli escono uno a settimana all'incirca verso il sabato (anche se nell'ultimo mese ero un po' sfasato). Ebbene, domani niente articolo. Perché? Per più di un motivo:
1) Lunghezza: il nuovo pezzo sarà così lungo e complesso che dovrò dividerlo in due parti che pubblicherò lo stesso giorno: la trama da una parte e il commento dall'altra. Questo perché della "Storia Vera" ho ripreso ogni singolo episodio, perché volevo farvi capire il perché del mio entusiasmo di fronte a quest'opera. Quindi, brano più lungo=tempi di revisione più lunghi, tutto qua.
2) I tempi, appunto: sono molto molto stretto con i tempi per una serie di motivi personali. Innanzitutto giovedì ho dato l'ultimo pesantissimo esame del semestre (passato per fortuna) e questo mi ha sottratto tempo ma soprattutto energie, e tante. Inoltre, contemporaneamente, mi sto trasferendo a vivere da solo. Sì, a 20 anni da solo... certo, non sarò distante anni luce rispetto alla casa dei miei, starò via solo dalla domenica sera al giovedì primo pomeriggio ma intanto vi assicuro che curare l'arredamento, il riscaldamento una balla e l'altra toglie molto tempo e, anche qui, energie (anche oggi impegnato tutto il giorno per sta casa sono tornato che mi sentivo come un uovo sbattuto nella lavatrice). Quindi niente, sono stato molto preso.
3) Motivi familiari e personali. Ho avuto un pochino di altre preoccupazioni in sti giorni, ora risolte tutte nel migliore dei modi (so che stai leggendo, spero ti facciano piacere le mie parole!), che magari non mi hanno occupato fisicamente ma mentalmente sì.

Ora dunque, cosa accadrà nei prossimi giorni? Domenica sera avviene il trasferimento definitivo. (Lunedì ricominciano le lezioni. A casa non ho ancora internet. Dunque: il pc (partito comunista, ovviamente) me lo porto se possibile nella casa nuova, lavorerò ai testi, ma non potrò pubblicarli anche se tanto lo farei sabato in ogni caso. Però ciò vuol dire che non avrò alcuna forma di controllo diretto per quei giorni (finchè Fastweb non mi porta il macchinino per connettermi) ma mica muoio, poi torno più in forma di prima. Non penso che le lezioni ostacolino troppo il mio scrivere, non più di tanto almeno, certo, mi devo organizzare, ma per me recensire roba è un divertimento, non un obbligo. In ogni caso, se vedeste ritardi, nessun allarme, sono solo almeno minimamente impegnato in quel periodo. Anche  vero però che a maggio, il 5 forse, le lezioni finiscono e io torno dai miei, quindi nella condizione in cui vi ho scritto fin' ora. Quindi ricapitolando, non si chiude proprio per niente, non preoccupatevi (e chi si preoccupa direte voi), ho solo bisogno di tempo per stabilizzarmi.

Inoltre faccio un piccolo annuncio in via PER NULLA UFFICIALE. Forse aprirò una piccola collaborazione con un altro forum di ragazzi di cui conosco un membro che parlano un po' di robe varie da quello che ho capito, quando qualcuno vuole scrive senza obblighi e su vari temi. Questa collaborazione non ufficiale consisterebbe in una serie di miei articoli su un'opera di cui non vi parlo nel blog di letteratura: One Piece di Eichiro Oda. Sì, è un manga, un "fumetto" come molti dicono, ma non è soltanto questo. Innanzitutto è il più venduto di tutti i tempi (anche più del calebre Dragon Ball) e continua ad accumulare record stratosferici di vendita quasi ogni numero, quindi non propri una merda, ecco. Oltretutto a me, oltre che dal punto di vista grafico, piace per due motivi: le ambientazioni (di cui non parlerei) e i temi. Raramente in un manga di avventura come questo ho visto così tante tematiche di attualità (il razzismo, la concezione della storia, il valore dato ai defunti, il concetto di giustizia, il tradimento e la schiavitù per citarne solo alcuni) racchiuse in una storia a fumetti colorata, appassionante e intrigante come questa. Certamente molti temi non sono proprio sviscerati con dissertazioni psicologiche, ma portano il lettore a riflette a vari livelli, in base all'età e alla maturità, su questioni molto pesanti ma affrontate in modo leggero: spetta al lettore dare importanza a ciò che legge e a approfondire i termini che vuole quando e come vuole (cosa negataci dall' istruzione ora come ora). Ed è per questo che io volevo analizzare tutti i temi, saga per saga, senza parlare della storia, così tutti possono seguirmi, in maniera più o meno approfondita. Inoltre il primo articolo metterebbe in relazione proprio la "Storia Vera" con quest'opera: tantissimi sono infatti i riferimenti diretti nella trama. però non posso parlarvene sul Letterarte, non ce la caviamo più altrimenti e magari a voi non interessa. Però RIPETO, la collaborazione NON è UFFICIALE ANCORA, mi devono far sapere, magari rifiutano e nulla. Per cui, appunto, in caso di rifiuto e qualora a qualcuno di voi interessasse, se avete un blog in cui volete ospitare queste mie riflessioni, commentate qua sotto che poi ne parliamo in privato. Non è da escludersi che una collaborazione per uno non escluda anche l'altro, cioè potrei pubblicare gli articoli su più di un altro blog. Questo comporterebbe comunque una maggior visibilità e pubblicità per entrambi i blog, quindi tanta tanta pubblicità gratis!

Per il resto ho già più o meno una mia scaletta di possibili futuri articoli da pubblicare, state sempre aggiornati!
Un saluto da Riccardo, gestore del Letterarteblog! (come sono serioso, sembro quasi serio)

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sabato 15 febbraio 2014

Il Grande Mistero di Luciano e Apuleio: due romanzi a confronto! (EXTRA)


Salve a tutti, e benvenuti a un nuovo capitolo! Oggi, dopo i soliti ringraziamenti (grazie), passiamo subito a questo articolo “extra”: infatti non tratterò di un’opera nel dettaglio ma della vita di due grandissimi autori, Luciano e Apuleio, che mi servirà da base per parlare soprattutto del primo nel dettaglio senza dovervi ripetere tutto ogni volta.

Innanzitutto, perché dedicare un capitolo a parte proprio per queste due figure? Della loro vita, in effetti, sappiamo molto poco ma le analogie tra i due sono così particolari e misteriose che meritano di essere analizzate perché creano un caso unico ed eccezionale nella storia della letteratura.

 Ma iniziamo subito con quello di cui più mi preme parlare, Luciano di Samosata (120 d.C.-190 d.C. circa). Egli nacque in Siria, all’estremità orientale dell’impero romano, a pochissimi passi dal regno dei Parti, o Persiani a dir si voglia, da una famiglia di ceto medio. Molte informazioni sulla sua infanzia ci vengono fornite dall’ opera autobiografica “Il Sogno” in cui racconta come, vista la sua predisposizione da bambino  a fare piccole statuette di animaletti di cera a scuola, sia stato introdotto nella bottega dello zio scultore. E questi, che il giorno che c’era lezione di pedagogia a scuola aveva la febbre, al primo sbaglio del piccolo Luciano, lo riempì di botte costringendolo a tornare a casa piangendo dalla mamma. La notte però fece un sogno molto strano: due donne, una grossa e rude, personificazione della Scultura, e l’altra aggraziata e delicata, la Letteratura, gli apparvero per cercare di convincerlo a scegliere una di loro. Ma il giovane Luciano, dopo la brutta giornata passata, non ebbe dubbi: Letteratura non fece nemmeno in tempo finire il suo discorso che il ragazzo già si era lanciato tra le sue braccia. L’opera, molto breve e semplice, presenta qualche tratto interessante che mi ha colpito. Innanzitutto tutti i nomi dei familiari, del nonno e del padre in questo caso, sono stati volutamente censurati dall’autore con una serie di asterischi. In un’epoca in cui il concetto di privacy non era poi così importante la scelta risulta particolare. Inoltre, se Luciano si fosse vergognato della sua famiglia di origine, non avrebbe continuato per tutta la vita a vantare le sue origini culturali siriane (nessuno al tempo gli chiedeva un kebab senza salsa bianca) e, se fosse stato famoso presso i suoi contemporanei, perché evitare che la sua fama ricadesse sui suoi parenti? Un’altra particolarità sta proprio nella scelta dell’argomento. Un’opera autobiografica e elogiativa allo stesso tempo è tipica solo di figure molto egocentriche (come Cicerone che, tra le righe, e sono molte, si vanta di aver salvato tutta Roma da solo), non di autori scherzosi e spiritosi come lui che anzi ridicolizzava questi personaggi scrivendo feroci testi satirici. Certo, scrisse molte opere strane come l’ ”Elogio della Mosca”, ma questo perché faceva parte dei neosofisti, una corrente filosofica che sosteneva che si potesse parlare di qualunque cosa sostenendo, grazie all’uso illimitato della parola, tutto e il contrario di tutto (ma diciamo pure che ci tornerò su un’altra volta, se sto a spiegarvi tutto ora non ce le caviamo più). Per il resto, della sua vita, non sappiamo troppo: si mosse prevalentemente tra l’Italia, la Grecia e l’attuale Turchia diventando maestro di retorica e ricoprendo incarichi politici vari. Egli attraversò diversi periodi di produzione, da quello puramente satirico (il “Dialogo dei Morti”) a quello filosofico (“I Filosofi all’Asta”), fornendoci diverse biografie di personaggi celebri del suo tempo con ritratti nitidi, particolareggiati e spietati (“Alessandro o il Falso Profeta”). Ma di tutte queste opere ho deciso che ne parlerò a parte: infatti, come avrete capito, Luciano è uno dei miei autori preferiti di sempre e ci tengo a sviscerarlo bene ma con calma, così da non confondervi le idee. Quel che mi importa ora è invece palare della sua attività di romanziere con “La Storia Vera” e “l’Asino”, opera di cui ci occuperemo oggi mentre l’altra la rimando al prossimo articolo!

Ma ora passiamo invece ad Apuleio (125 d.C.-170 d.C.)! Egli nacque a Madaura, nell’attuale Algeria, ma non sappiamo nulla né della sua famiglia di origine né ci sono pervenute troppe notizie certe sulla sua vita. Sappiamo che, di sicuro, egli amava viaggiare tantissimo, tant’è che si recò pure in Egitto dove si convertì al culto di Iside e Osiride (religione di cui ci parla anche Plutarco in un trattato particolare, “Iside e Osiride” appunto). Tale scelta religiosa fu talmente determinante da influenzare il suo più grande lavoro, le “Metamorfosi o Lucio e l’Asino d’Oro”, soprattutto nel finale (di cui non vi spoilero NULLA DI NULLA, andate a leggervi il romanzo che merita assolutamente!). Ma, attraverso un suo lavoro autobiografico, “La Magia”, noi sappiamo che fu accusato da della gente di un paese del nord Africa di essere uno stregone. Quest’ accusa, ovviamente infondata, era stata fatta da dei parenti di una vecchia e ricca vedova che il giovane Apuleio era stato accusato di aver sedotto con dei filtri magici per poi sposarla (ma lui l’amava comunque, sicuro). In quest’opera, che altro non è che il testo di difesa scritto e pronunciato da Apuleio, sono presentati tutti gli indizi che avevano portato gli accusatori a condurlo davanti al giudice e si basavano su fatti che noi oggi definiremmo normali ma che per quell’epoca erano qualcosa di magico e misterioso come… lavarsi i denti (cosa sconosciuta ad alcuni ancora oggi) con del dentifricio (sì, c’era già ai tempi, e veniva importato dall’oriente) e guardarsi allo specchio (il vetro ai tempi veniva poco usato perché difficilissimo da realizzare). Non sappiamo poi come andò a finire il processo, ma è probabile che Apuleio si sia salvato. Ma perché è così interessante questo testo? Innanzitutto si tratta di una delle pochissime difese in tribunale che ci è giunta per intero di quel periodo storico oltre ad essere l’unico vero documento biografico sull’autore in nostro possesso. Come si può evincere dal testo, Apuleio era molto interessato alle culture diverse dalla sua e assorbiva usi e costumi particolari che lo rendevano misterioso e sospetto agli occhi della gente (come un templare o un Maya, dicono le fonti). Per il resto non sappiamo nulla, nemmeno come si chiamasse veramente! Il nome che ci è stato tramandato, Lucio, è lo stesso di quello del protagonista della sua opera e la cosa è alquanto sospetta. Come può essere successo? Vi ricordate forse di quel patriarca bizantino, Fozio, a cui piaceva scrivere riassunti e di cui vi ho parlato qualche articolo indietro? No? Malissimo, ma potete rimediare andando tutti QUI per mettervi in pari! In ogni caso il sant’uomo (nel vero senso della parola)  decise di riassumere anche la trama di quest’opera, forse attribuendo al suo autore il nome del protagonista, confondendosi come un ubriaco a un Gay Pride (cose che capitano quando ancora Wikipedia non esisteva anche se, diciamocelo, prima di scrivere certe cagate poteva anche buttarci un occhio a quel che faceva o fare almeno un paio di riletture). Ma, attenzione, il nostro Fozio potrebbe averne fatte anche di peggio! Infatti pure Luciano (forse, ma non si è certi sia lui) ha composto un’opera molto molto simile, “L’Asino” appunto, di cui il nostro riassuntista (o riassuntatore, fate voi) parla. Ora, che Luciano sia diventato il Lucio del libro e questi a sua volta Lucio Apuleio? Molto probabile ma… tutte ste storie di asini da dove spuntano (ma soprattutto, la mia voglia di parlare di questi animali, da dove nasce?)? Perché c’è un mega romanzo al riguardo e poi un suo riassunto con un finale completamente diverso? Da dove sono nate tutte queste leggende? Non lo sappiamo. Non ci sono arrivati infatti altri romanzi o testi che accennino ad alcun tipo di trama del genere. Però, senza un modello precedente, non è possibile che due opere del genere siano nate nello stesso periodo e con caratteristiche così sfacciatamente uguali! A questo punto diventa una semi certezza ormai che Apuleio e Luciano (o chiunque abbia scritto quest’opera) quantomeno si conoscessero o avessero a che fare con un circolo culturale perlomeno simile.

Quindi, per riassumere, ci ritroviamo con due autori contemporanei parecchio misteriosi, entrambi grandissimi viaggiatori e conoscitori di culture molto lontane che hanno scritto opere molto molto simili (quella di Luciano è veramente un riassunto di quella di Apuleio, riprende anche gli stessi episodi). Una cosa del genere è destinata a non ripetersi mai più nella storia della letteratura e ciò mi fa sospettare che sotto ci sia qualcosa di più di una banale collaborazione o scambio di idee. Probabilmente è andato perso uno dei più grandi romanzi mai stati scritti sulla faccia della terra e, che per un motivo  per l’altro, non ci è arrivato. La stessa opera di Apuleio fu rinvenuta solo nel 1300 da Boccaccio (1313 d.C.-1375 d.C.) che la utilizzò come spunto per il suo “Decamerone” (1351). E non è nemmeno difficile immaginare perché la trama sia stata così censurata dai copisti medievali dati i contenuti parecchio spinti (il culmine viene raggiunto con un episodio di zoofilia in cui l’asino, date le sue doti, è il protagonista indiscusso tanto per intenderci). Inoltre, all’interno dell’opera di Apuleio, è incastrata, proprio a metà, rompendo tutta la storia, la famosa favola di Amore e Psiche che ispirò tantissime opere d’arte successivamente (tipo questa e questa).

Prima della conclusione qualche informazione per i consigli sugli acquisti! “La Magia” di Apuleio io l’ho trovata in un’edizione sconosciuta ma molto accurata della “Acquarelli”, una collana della Giunti penso introvabile (non c’è su il prezzo per dirvi), però l’ho vista in giro anche in economica della BUR, per cui penso venga 10€ o anche meno. Il “Sogno” e l’ “Asino” di Luciano li ho trovati insieme al “Gallo”, un dialogo filosofico molto divertente, in un unico libricino (di cui non trovo la copertina) della Oscar Mondadori a soli 9,50€ e, penso, non sia difficile da trovare. Infine per le “Metamorfosi” di Apuleio andate sul sicuro con una versione BUR completissima di note a soli 10,60€. Tutte queste opere sono facili da leggere, interessanti ma soprattutto divertenti e godibilissime quindi che aspettate a prenderle?

Ed eccoci arrivati alla fine di questo articolo. So che non è stato magari dei più brillanti ma mi serve come base per parlarvi tranquillamente di Luciano. Ed è per questo che ho deciso di considerarlo un extra, qualcosa di piccolo e a parte, che mi serve da introduzione al prossimo brano in cui parlerò della “Storia Vera”, una delle mie opere preferite di sempre e su cui mi soffermerò parecchio. L’unico dispiacere è di aver liquidato così in fretta il povero Apuleio col suo straordinario romanzo ma, veramente, sono stufo di parlare di asini, basta! Quindi nulla, se avete trovato un po’ giù di tono questo articolo non preoccupatevi, col prossimo si ricomincia alla grande! Ovviamente COMMENTATE condividete e mi piacciate! Questo brano lo dedico agli amici dell’associazione “Anche Fozio Ha un’Anima” che da anni si batte per salvaguardare la figura del bistrattato santo bizantino che altrimenti sarebbe bandito da ogni libro di testo.

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venerdì 7 febbraio 2014

Collana i "merdalavori", ep II: il maledetto "Castello di Otranto"


Un saluto a tutti quanti e benvenuti a questo secondo merdalavoro! Però, prima di iniziare, ci tenevo a dirvi due cose: innanzitutto GRAZIE, ma davvero tanto! <<Ma come, ma basta dire grazie, già l’altra volta sembrava ti avessimo donato il fegato!>> Sì, questo lo so, ma stavolta abbiamo superato le 1000 visualizzazioni in un mese, che altro posso aggiungere? Inoltre ci tengo a ricordarvi che, in questa collana, più che nelle altre, sto esprimendo il mio personale gusto e opinione sulla bellezza e gradevolezza in sé dell’opera (e sul suo senso logico spesso e volentieri) ma non sul suo valore artistico e letterario: infatti, se il libro mi ha fatto schifo da una parte, dall’altra apprezzo e riconosco il significato dell’opera in quanto tale. <<Sì, ma se non ci dici di che vuoi parlare noi come facciamo a capire? E dì sto titolo, su forza, ogni volta mille giri di parole prima di rivelarlo…>> Bene, questa volta vi voglio parlare del primo romanzo gotico della storia della letteratura, ovvero del “Castello di Otranto”(1764) di Horace Walpole (1717 d.C.-1797 d.C.)!

Ma iniziamo, come al solito, con qualche breve cenno alla vita del nostro autore. A scuola, magari, avrete sentito parlare del famoso politico e “economista” (perché non si può certo dire che fosse un genio nella materia) Robert Walpole (1676 d.C-1745 d.C.) famoso per aver compiuto un’operazione finanziaria a dir poco rovinosa che portò l’Inghilterra sull’orlo del disastro economico (una specie di misto tra Andreotti, Craxi, Berlusconi e Monti insomma). Per riassumervi molto velocemente un suo ipotetico discorso fatto agli inglesi, possiamo ipotizzare che avrebbe più o meno detto:

<<Salve a tutti, ricchi investitori inglesi! Ho due notizie per voi, una buona e una cattiva. Quella buona è che ho convertito tutti i vostri titoli di stato in azioni per la “Compagnia delle Indie” che rischiava il tracollo finanziario! In pratica tutti i vostri soldi sono stati investiti in questa compagnia che commercia con le nostre care e prolifiche colonie. Ma passiamo alla notizia brutta: la Compagnia delle Indie è fallita e i vostri soldi sono andati persi!>>

Ovviamente le cose sono  state molto più complesse di così e il nostro fine economista cercò di correre ai ripari, ma non siamo qui oggi a parlare di lui. Infatti, come qualche panciuta professoressa di inglese potrebbe far notare, <<Eccheccentra Robert Walpole con l’autore del “Castello di Otranto”?>>. Horace Walpole non era che suo figlio (cresciuto nei peggiori bar di Caracas proprio)! Il nostro scrittore, a dir la verità, non ebbe una vita poi troppo affascinante: fece un grande viaggio per l’Europa da giovane, come era di moda tra i nobili del tempo, con il suo amico Thomas Gray (1716-1771), un noto poeta preromantico, che lo influenzò tantissimo. Tornato in patria diventò politico per poco tempo grazie ai giri del padre (sì, gli inciucci erano parecchio efficaci per trovare lavoro anche all’epoca). Per il resto, a parte un grande epistolario di oltre 3000 lettere (sicuramente tutte interessantissime, eh, per carità…) e il “Castello di Otranto” non compose nulla di speciale.

Ma passiamo al romanzo. Purtroppo. L’opera è ambientata a Otranto (ma dai? Non l’avrei mai detto!) nel 1300 circa, non troppo tempo dopo le crociate. L’intreccio è volutamente molto molto confuso e, per una visione dei contenuti più approfondita, vi rimando alla fonte somma del sapere universale (Wikipedia) che vi aiuterà a comprendere il perché non voglia troppo addentrarmi nel dettaglio. Per i meno curiosi di voi  ecco delle linee generali per comprendere quanto segue, ma prima…

SSSSSPOOOILEEER!

(così, tanto per essere sicuri che nessun figamolle ingenuone ci caschi in pieno e poi si lamenti)

Il protagonista/antagonista è Manfred (tipico nome medievale del sud Italia), proprietario del maniero di Otranto, dove vive con la moglie e i due figli, un maschio e una femmina. Il ragazzo si deve sposare con una ricca feudataria ma, proprio il giorno delle nozze, viene schiacciato da un elmo gigante, grosso più o meno come una casa, nel cortile del castello. Sì, avete capito bene, ma ve lo ripeto per sicurezza. Viene schiacciato da un enorme elmo medievale di qualche tonnellata caduto dal cielo senza un perché. Ma non è questo l’unico fatto straordinario. La servitù, a volte, aprendo la sera le stanze del castello, vede degli arti giganteschi muoversi e, a un certo punto, un ritratto si stacca dalla tela e inizia ad aggirarsi per i corridoi del maniero. Ma chi è questo misterioso e titanico cavaliere che si aggira indisturbato per la reggia? Un giovane contadino, quando viene rinvenuto ciò che rimane del corpo del figlio di Manfred, dice che l’elmo gigante è uguale identico a quello di un antenato del protagonista che combatté nelle crociate. Inoltre afferma che dalla statua dell’eroe, conservata nella chiesa, è venuto a mancare proprio il copricapo da battaglia. Ovviamente, seguendo una logica di stampo medievale a dir poco impeccabile, il popolo pensa che il povero contadino sia il colpevole del tutto e, tanto per non perdere tempo, si appresta a farlo fuori sul posto senza troppi complimenti quando interviene il parroco del paese che lo salva affermando che quello in realtà è… suo figlio (musica drammatica)! Questo è il primo dei tanti colpi di scena completamente a cazzo del romanzo, ma non temete, ci tornerò sopra più avanti. Intanto Manfred è disperato non tanto per la perdita del figlio (non ci avrebbe messo tanto a sfornarne uno nuovo) quanto per il fatto che non può acquistare nuove terre tramite il matrimonio e consolidare il suo potere. E allora che fa? Gli viene in mente un’idea geniale e assolutamente improbabile per l’epoca in cui è ambientata la vicenda: vuole divorziare dalla moglie per sposarsi lui con la ex-promessa sposa del figlio cercando di convincerla ad accettarlo come sostituto. E qual è il modo più sicuro e romantico con cui cercare di convincere una giovane ragazza a sposare te, vecchio e brutto feudatario? Ma che domande, ovviamente CERCANDO DI STUPRARLA (oltretutto fallendo miseramente)! Il giorno dopo arriva Federico, il padre della fanciulla, il quale, oltre a volerla riportare a casa, dice di essere il vero erede del principato di Otranto. Comincia così una serie di inseguimenti di coppiette innamorate e uccisioni casuali (del tipo: <<Oh, eri tu? Scusa, non mi ero accorto di star combattendo contro mia figlia, che sbadato>>) che portano a un finale assurdo: il castello crolla e appare la gigantesca figura dell’antenato crociato tra le rovine mentre San Nicola, dall’alto dei cieli, nomina vero erede il figlio del parroco (San Nicola recentemente paparazzato). Chi si doveva sposare si sposa, i cattivoni vivono male, gli altri no e finisce così. Su dai, diciamolo tutti insieme:

QUESTA TRAMA È

UNAMMERDA

Cioè, è veramente difficile trovare un senso a questo pattume. Mi dispiace dirlo, perché si tratta di un’opera talmente importante da aver dato il via a un intero genere letterario, quello del romanzo gotico, ma questo è veramente troppo! Torniamo a parlare dei punti dolenti del libro che ci attendono dolorosi e numerosi.

FINE SPOILER!

La trama del libro diciamo che non si basa su un concatenarsi logico di eventi ma su colpi di scena a raffica buttati dentro a forza solo per tenere alta la curiosità nel lettore, altrimenti si sarebbe decisamente annoiato (è come puntare solo sugli effetti speciali per un film, perché la sceneggiatura fa schifo, senza saperli fare). La cosa, infatti, volendo semplificare (ma nemmeno troppo) si può riassumere con:

<< Aspettate tutti, io non sono tua madre ma sono… TUO PADRE! (musica molto drammatica)>>, << E io non sono tuo figlio ma… TUA ZIA!(musica drammaticissima)>>, << Eh no, non così in fretta! Infatti io non sono il cane ma… LO SCERIFFO DELLA CITTÀ e ti dichiaro in arresto! (una musica così drammatica che più drammatica non si può)>>.

 E così per pagine e pagine (una sorta di episodio di Scooby Doo in loop). Ma qualcuno potrebbe dire:<< Sì, ok, ci sono tantissimi colpi di scena, ma in un romanzo abbastanza corposo non ci stanno poi tanto male, ravvivano l’azione.>>. Sì, gentile lettore, questo è vero, però peccato che il libro non superi le 100 pagine.

 Inoltre ogni colpo di scena è seguito da intere paginate di dialoghi del tipo:

 <<Oh, mi è successo qualcosa di terribile che nemmeno immagini!>> <<Ommioddio che cosa ti ha turbato così tanto? Parlamene, ti prego!>> <<No, non posso, è qualcosa di veramente tragico!>>                              <<Ma ti prego, sono in ansia, comunicamelo subito!>>                             <<No, sul serio, rimarresti sconvolta…>>                                                            << Su dai, siamo amiche, a me puoi dirlo, sfogati!>>                                       <<E va bene, se proprio vuoi… sappi… sappi… sappi che… è finito il latte! (il dramma proprio)>>.

 Questo misero espediente narrativo per far crescere l’ansia (e il nervoso) del lettore sono lunghi anche pagine e pagine in cui non succede veramente NULLA DI NULLA!

Passiamo poi ai prodigi prodigiosi e ai misteri misteriosi. Una sola domanda: PERCHÉ? Sì, perché è caduto un elmo gigantesco scomparso da una statua? Perché appaiono arti a caso nelle stanze del castello? Perché i dipinti si staccano dalle tele? Perché compare San Nicola? Perché? Come? Non lo sappiamo. Probabilmente il tutto ha a che fare con i Maya e gli alieni (con i templari di sicuro stavolta!), ma non possediamo abbastanza prove. Molti di questi miracoli sono oltretutto fini a sé stessi. Quando, ad esempio, Manfred sa di ste gambe e braccia per il castello, pensate si preoccupi, che cambi le sue azioni in qualche modo, che si redima? Certo che no, nulla di tutto ciò, continua a vivere tranquillo come se non fosse successo nulla. E allora perché inserire un episodio del genere?

Ma ancora, questo romanzo è completamente sconnesso dal punto di vista storico. Non dimentichiamoci che siamo nel 1300. Quando mai, in quell’epoca, le persone si separavano o potevano anche solo pensare lontanamente di fare una cosa del genere? Solo nel 1500 Enrico VIII (1491 d.C.-1547 d.C.) ci ha provato e per farlo ha dovuto fondare una religione tutta sua, figuratevi come il principe di Otranto, duecento anni prima, sarebbe mai potuto arrivare a un passo del genere! Poi, una parte che mi ha fatto morire dal ridere è quella del quadro con il dipinto che si stacca dalla tela. E voi vi chiederete: <<Maccheccè di così divertente in una cosa del genere?>>. Vi devo proprio ricordare come erano fatti i disegni in quell’epoca? (gente disegnata molto bene) Cioè, immaginatevi questo personaggio deforme in 2 dimensioni, con gli occhioni tutti d fuori, che cammina per le stanza del castello come i fantasmini di Pac-Man sullo schermo!

Inoltre i personaggi sono stilizzati in una maniera atroce: Manfred, il cattivo, è veramente cattivone cattivone e malvagio, la giovane fanciulla casta e purissima e i servi, per dire, sono tutti dei tontoloni balbuzienti ma la lista potrebbe essere molto lunga.

Tirando le somme, questo libro fa proprio schifo sia come intreccio sia per la tecnica narrativa. Però la sua influenza è stata grandissima (basti pensare che il “Manfred” è un famoso poema di Byron e Matilda, la figlia del protagonista, sarà il nome dell’eroina del romanzo omonimo di Mary Shelley di cui parlerò) ma adesso non è il tempo di parlare dei tratti generali del romanzo gotico e di quanto sia effettivamente molto bello. Rinvio infatti il tutto a un pezzo che farò tra non troppissimo su un VERO capolavoro del genere, il “Monaco” di Lewis.

Il libro, che mi è stato regalato per cui non so dirvi il prezzo, l’ho letto in un’edizione molto dubbia della “Costa&Nolan” (sembra il nome di una coppia di musicisti di quelli che suonano la fisarmonica nelle balere) di cui non so nulla anche se ce ne sono molte altre edizioni e non avrete troppa difficoltà a trovare questo merdalavoro. Ovviamente, personalmente, vi sconsiglio l’acquisto dell’opera, ma potrebbe piacere ai più masochisti di voi.

Vi ringrazio ancora tantissimo per tutte le visualizzazioni e il vostro supporto! Ovviamente mipiacciate, condividete ma soprattutto COMMENTATE! Ditemi le vostre esperienze con questo libro se ne avete avute, oppure ditemi cosa ne pensate dell’articolo o insultatemi, come vi pare! Dedico questo brano alla mia professoressa di italiano che, l’ultimo giorno della quinta liceo, vedendomi arrivare tutti baldanzoso con il libro sottomano per chiederle una piccola dedica, dopo aver fatto una sofferentissima espressione di dolore, mi scrisse sulla prima pagina “Lo sai, non condivido con te certe scelte culturali, oltranzistiche… Ma ammiro e apprezzo la tua passione…”

La prossima volta invece torniamo nel passato a parlare di due autori abbastanza misteriosi ma pieni di fascino: Luciano ed Apuleio!


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